De Rerum Natura

A cura di Michele Bramante

Palazzo Samone - Via Amedeo Rossi, 4 - Cuneo | 3/12/2021 - 30/1/2022

Testo in catalogo:

De Rerum Natura

Esistono tante nature quante sono le visioni del mondo. Per oltre un millennio la Natura è stata primogenita di Dio, sorella maggiore del Cristo nel tempo secolare, durante i sei giorni della Creazione. La scienza ne ha fatto materia duttile alla dinamica delle forze fisiche, con una progressione così autoritaria da rendere impossibile ridarle una nuova libertà. Per Hegel, Natura è un momento astratto nell’articolazione dialettica dell’Universo. Dio è invece compenetrato nella Natura stessa per i panteisti come Spinoza. Il catalogo delle tesi sarebbe vastissimo.
L’anomalia che genera la moltiplicazione dei punti di vista sta nella discrepanza tra i tentativi di rappresentazione del reale e ciò che ha la potenza continua di sfuggire alla conoscenza. In senso inverso a tutte le teorie, noi chiamiamo questa potenza “Natura”.

Sono le parole e il pensiero a creare una distanza insanabile. Con il linguaggio entriamo in una dimensione che si produce per via di una separazione radicale dallo stato di natura. Lo stesso pensiero sullo “stato di natura” è un controsenso, crea un cortocircuito inarrestabile tra parole e realtà, poiché le prime non possono cogliere l’essenza delle cose, mentre queste, apparentemente, si danno alla conoscenza solo attraverso il pensiero. La natura, in tutti i modi di intenderla per mezzo del linguaggio, è sempre una relazione interna a una cultura, con un bilancio sistematicamente svantaggioso per il pensiero, condannato a mancare la conquista della verità. Ciò nondimeno, questo rapporto trova il suo fondamento in qualcosa, e ciò che testimonia dell’esistenza del fondamento è proprio l’errore insuperabile nei tentativi di afferrarlo. Il pensiero continua a errare all’interno dello spazio (per forza di cose naturale) che lo contiene.

Riguardo al fondamento, la pittura gode di un vantaggio ineguagliabile rispetto alle altre forme d’espressione. Per quanto si tenti di ridurre le parole a un grado primitivo, fino ad assegnare un significato al loro elementare stato di vibrazione fonica pura, esse perdono l’interiore nucleo della realtà. La distanza è per le parole essenziale come quella tra coscienza e mondo. Il colore, invece, pur essendo anch’esso una vibrazione, e pur conservando la possibilità di produrre significati una volta inserito artificiosamente, in qualità di segno, all’interno di un ordine simbolico, di per sé non significa. Esso é, semplicemente. Il colore in sé non rappresenta, essendo movimento e mutazione interni allo stato delle cose di natura. L’elemento più vicino al colore nell’ambito del linguaggio è il verbo, non il nome di una proprietà aggiunta alle cose. Il verde e il rosso non sono attributi razionali di un oggetto colorato. Il verde, piuttosto, verdeggia con la pianta. Il cielo rosseggia al tramonto. Il colore non si applica esternamente agli esseri come le parole, ma ne mostra l’agire, li accompagna inseparabilmente nel loro movimento di mutazione cromatica. In questo senso, il colore precede anche la separazione di soggetto e oggetto. Esso agisce direttamente non con un movimento verso l’occhio a partire da una fonte distinta, esterna, ma vivendo unitariamente con l’occhio e nell’occhio, e l’occhio stesso è nella natura che trascolora in fasi ininterrotte.

Questo vale anche quando l’oggetto e i processi di colorazione sono altamente artificiali, come nelle tinture di prodotti industriali: ciò che conta sotto il profilo della natura è solo il colore in sé come interazione con la percezione. Isolando il fenomeno cromatico nella relazione tra tonalità e occhio, la base materiale non ha nessuna rilevanza. Il blu di un giocattolo di plastica tinto chimicamente è natura, tanto quanto il rosa violaceo di un’orchidea. Il privilegio della pittura si misura con il grado di autenticità che il rossore sulle guance di un bimbo possiede rispetto al concetto astratto di timidezza. La pittura è fusa nella natura attraverso l’unità del colore, grazie alla quale essa si conosce in modo più immediato di quanto si dia in tutte le nozioni intellettuali.

Alcuni artisti usano il colore nell’accezione intellettualistica, come riempitivo delle forme. Santo Tomaino rientra tra quei pittori giunti a intuire, con consapevolezza, le possibilità di conoscenza insite nella relazione tra colore e natura. A rigore non si dovrebbe nemmeno parlare di relazione, poiché essi sono una sola e medesima cosa. Se il pittore assapora questa dote del colore non è nella forma di una conoscenza astratta. Il suo magistero non rappresenta, in questo caso, solo il grado di abilità tecnica e perfino compositiva, ma soprattutto la comprensione del rapporto di immediatezza connaturato all’uso del pigmento. Impastare il colore significa, per Tomaino, immergere il pennello nella natura. Nello stesso tempo, il gesto che stende la pittura sulla tela guida la reazione dell’occhio. Tutto risulta compenetrato dalla stessa unità.

La natura è in quiete presso il pigmento puro chiuso nel barattolo. Santo Tomaino eccita un diverso temperamento in quel colore, ne sprigiona un carattere e un’espressione che rappresentano una particolare tonalità nell’infinita varietà sonora della natura. Il temperamento che le dona è intenso, gravido, ricco, vigoroso. Quando il quadro è compiuto, è come se la natura stessa al di là della cornice si fosse precipitata con foga verso l’occhio schiantandosi sulla superficie della tela. E lo schianto è così potente che astrazione e concretezza, colore e visione, quiete e violenza, corpo e trascendenza, giardini e costellazioni si fondono insieme.

Da questa concentrazione di effetti nasce la molteplicità delle esperienze nella ricezione dell’opera. Con facilità si intuisce un comportamento della pennellata legato alla scomposizione e ricomposizione ottica dell’immagine fin dall’Impressionismo (ma si potrebbe far risalire molto indietro). La pennellata è una volta libera, tocco puro di colore, e un’altra serve a definire figure visibili, semplicemente modificando la distanza di osservazione dal quadro. Si vede come in Tomaino il colore strutturi la superficie, dal punto dato col pennello al gesto più largo, ognuno allo stesso tempo indipendente e rapportato all’insieme.

Meno intuitivo è lo sviluppo di una profondità senza l’ausilio di schemi spaziali. La forza intrinseca al colore lo dota della capacità di espandersi o contrarsi, soprattutto nei rapporti di sintonia e contrasto tra le diverse tonalità. Il carattere dato da Tomaino alla sua natura cromatica è sempre della più viva brillantezza ed energia, e ciò rende la sua pittura timbrica, accesa, con un calcolato crescendo che attrae lo sguardo attraverso i diversi piani di esperienza. La profondità sorge dalla stesura pittorica non per mezzo della costruzione prospettica, né dai rapporti chiaroscurali del volume. Essa è più un ritmo modulato dalle energie intensive dei colori, un pulsare e premere vigoroso di tutte le forze cromatiche della natura, che traduce in espansione e contrazione timbrica delle tonalità il senso primitivo di attacco predatorio e fuga, di attrazione del fuoco e timore del fulmine. Il pitturare di Tomaino è, in certa misura, selvaggio: blu aggressivo, rosso mansueto, colore selvatico, profondità ancestrale.

Anche la bellezza ha a che vedere con la sopravvivenza. L’intuizione, ripresa in tempra pittorica da Tomaino, proviene dalle scoperte scientifiche di Darwin. Nella bellezza la natura ama se stessa e si dà il movente per respingere la morte delle creature. Gli espedienti ornamentali – attributi somatici apparentemente superflui come la coda di pavone o le danze dell’uccello giardiniere – messi in atto dagli animali per apparire seducenti sono anche il messaggio inviato al sesso opposto per indicare il proprio stato di salute e di capacità riproduttiva. Il vigore che viene mostrato in questi tratti – nei colori più vivi, nel ruggito più combattivo – guida gli individui di una specie nelle scelte per gli accoppiamenti. Oltre alla forza e all’abilità predatoria, dunque, la bellezza si attribuisce agli esseri viventi che mostrano maggiori probabilità per la continuità della specie. La cosmesi umana trova qui, nel quadro della teoria evoluzionistica, il suo fondamento ancestrale; ma anche l’arte, se considerata come un’astrazione della bellezza, la qualità estetica presa in se e per sé, prima isolata dalla sua funzione di ornamento organico nei corpi naturali e poi rimaterializzata nelle opere. Un’unica sensazione di bellezza unisce gli impeti di colore vitale, il movente dell’attrazione sessuale e il capolavoro d’arte. La natura schiantata sulla tela, con il temperamento datole da Tomaino, origina, nella serie delle Cartoline, paesaggi fantastici e idilli naturali nello stesso tempo. Si vedono selve e giardini la cui pace suscita silenziosamente una certa inquietudine, una calma troppo energica perché non lasci immaginare che qualcosa di fatale possa accadere da un momento all’altro, come un balzo felino, il saettare di una lingua di rettile su un insetto. La pace in natura è un momento che non ha nulla a che vedere con l’etica della convivenza tra gli esseri. Dipingendo questi scenari rigogliosi, Tomaino usa la pittura con gli stessi principi di cui si serve l’estetica spontanea della natura, per eccitare i sensi dell’osservatore e istigarli alla sua evoluzione. Principi a cui si riconducono, perciò, anche i capolavori della storia dell’arte citati nei dipinti, o la fantasia dei luoghi menzionati dalle “cartoline”, tutti irreali e ripresi dall’immaginazione di opere letterarie. Artifici, come l’atto del dipingere, che trasferiscono nella cultura il bisogno di bellezza teso verso la vita.

Nelle selve la percezione corre orizzontalmente, l’occhio si acquatta inseguendo la bellezza sul terreno degli agguati e degli amplessi. Con l’arte, l’uomo si è dato uno spirito e ha iniziato a guardare verso l’alto in modo diverso. Il cielo, da brivido di fulmini ed eclissi, diviene Costellazione. I dipinti della serie Tornammo a riveder le stelle, come i giardini e le selve delle Cartoline, segnano un percorso per l’uomo: dall’aumento di energia psichica nell’eccitazione sensoriale lo conducono verso uno stato di bellezza incorporea, alle stelle e oltre. Guardare ai dipinti di Tomaino è come subire la malia del pericolo, o più semplicemente di una vertigine, provando allo stesso tempo una gioia trascinante, e gradualmente affinare l’esistenza, lungo l’itinerario dal corporeo allo spirituale, con tutte le energie vitali tese nel presentimento di un’ideale Bellezza.