Clouds & water

Mostra personale di Paul Goodwin

La Contemporanea Studio Art Gallery, Torino

La scena fuggevole del mondo, nel linguaggio pittorico di Paul Goodwin, viene purificata fino a condurre lo sguardo verso una visione fluttuante e tattile del paesaggio, inteso non più come una scenografia, bensì come ambiente primitivo della coscienza.

Di fronte al paesaggio contemporaneo, la gamma degli atteggiamenti dell’uomo occidentale si estende dalla distrazione all’istantanea digitale. Questa polarità fu teorizzata da Walter Benjamin, il quale oppose ai toni neutri della città moderna la capacità della macchina fotografica di ricreare un’attenzione concentrata, facendo risaltare una composizione di elementi nell’indifferenza dello sfondo urbano. Le ragioni dell’ottimismo riposto da Benjamin nel nuovo medium si trovano nello spirito del suo tempo, in cui le utopie esercitavano ancora una forte seduzione, mentre le tecnologie della riproduzione meccanica rappresentavano uno strumento utile alla diffusione transclassista e capillare dell’opera d’arte. Oggi, la rapidità della ripresa digitale viene quasi a coincidere con la velocità della distrazione, tra un tempo rigidamente amministrato e l’evasione soggiogata all’industria culturale. Ritrarre una persona, un monumento o un paesaggio è divenuto così facile e divertente che anche la fotografia è stata assorbita nella sfera della distrazione; l’atto di immortalare i luoghi ha assunto l’ordinarietà della scialba prosa delle azioni quotidiane. Il corollario di questo modus percipiendi risiede in uno spazio dato per scontato, cartesiano, assoluto, omogeneo e universale. Le cose hanno un loro posto riconoscibile, ben individuato da precise coordinate, ma i sentimenti dello spazio e del tempo sono troppo vaghi e lenti per essere traducibili dallo spirito di questo tempo.

La custodia di un modo contemplativo di guardare al mondo è affidata al pittore, alla continua ricerca delle idee e delle forme che animano la realtà. Prima dell’architettura che generalmente attribuiamo al reale fuori di noi, l’uomo possiede uno spazio e un tempo interiori, fisiologici, percettivi, condensati in un plesso esperienziale fatto di emotività, percezioni ottiche, tattili, uditive, pragmatiche. Il paesaggio non è mai distante, bensì tanto prossimo da essere fuso con il soggetto attraverso il suo sentimento. In Paul Goodwin, questo sentimento si raccoglie, si concentra, si contrae e si intensifica nei volumi cromatici diffusi sulle lamiere, nel plastico rapporto tra figura e sfondo che registra le forze di sviluppo dello spazio circostante.

A discapito delle apparenze, infatti, la pittura di Goodwin è realista. Si tratta, ovviamente, di un “realismo” non figurativo. La sua astrazione, lungi dall’essere la mera traccia di una pulsione inconscia, ovvero l’espressione di verità concettuali, si incarna nell’esperienza terrena. Se vi è una ricerca dell’assoluto, questo assoluto è immanente, immerso nella sfera del mondo e diluito nell’attività sensoriale del pittore di fronte al paesaggio, all’ambiente, all’architettura, a tutti i fenomeni che adornano il mondo esistente. Nella dialettica tra il realismo, in cui la rappresentazione coglie il proprio valore di verità e bellezza nel confronto con il modello della natura, e l’idealismo, che imprime nella realtà il marchio del soggetto, Goodwin si pone nella zona liminare tra questi due poli, modulando le superfici con un ritmo biologico, un’emozione carnale, suscitati dall’intuizione dello spazio circostante che risuona negli organi di senso e nello spirito. Il gesto, che prolunga la presenza dell’uomo nel mondo e viceversa, dà origine a un lividore corporeo dello spirito umano, una reazione concreta alle suggestioni ambientali. L’impressione spaziale è colta e intensificata fino a riempire totalmente il senso dell’esistenza contratta nell’attimo, assorta nella singolarità eterna dell’intuizione dello scorcio di mondo contemplato.

Nel sentimento spaziale si cela il segreto dello spazio. La distanza diffusa tra l’uomo e la natura non è più calcolabile, bensì aperta dalla direzione della sensorialità emotivamente carica. È la contemplazione del pittore che ravviva, come un incantesimo, l’unità del luogo. Nel fluire ondivago di questa visione spaziale, la superficie ritrae un nuovo orizzonte all’intersezione del moto armonico tra pittore e realtà.

Sulla lastra metallica si staglia l’evento concreto del colore, si materializza l’esistente cromatico come intensità plastica che sorge alla vita fenomenica. Le dense masse di colore, liberate dalla cogenza dell’attrazione terrestre, si raggrumano intorno al principio di un’energia intrinseca, una forza raddensatrice che dinamizza la materia e la sospende nel centro agravitazionale dello spazio pittorico. Sullo sfondo di una pura, limpida, riflettente astrazione, la materia si opacizza divenendo sensibile per la possibilità di una percezione sensoriale originaria. Muovendo dalla propria immersione nel paesaggio, Goodwin rappresenta l’atto primigenio in cui lo spazio-tempo comincia ad espandersi nella sua alba umana.