29/05/2019
THE PHAIR IN UN AUTOSCATTO. INTERVISTA A ROBERTO CASIRAGHI
TORINO | EX BORSA VALORI | #REPORT
La prima questione, lasciata in sospeso in maniera un po’ sibillina, la solleva proprio Roberto Casiraghi, ideatore, insieme a Paola Rampini, di The Phair: perché ancora a Torino?
Nel maggio torinese dedicato alla fotografia, con la sua edizione d’esordio The Phair si è distinta tra le iniziative di maggior interesse e richiamo. Gli organizzatori dichiarano di aver lavorato con attenzione artigianale alla cura della manifestazione, per differenziarla dal fenomeno delle fiere titaniche e dalla concomitante emersione di eventi satellitari, che moltiplicano l’offerta tanto da rischiare di comprometterne la fruibilità. Sono state infatti 35, un numero relativamente contenuto, le Gallerie distribuite negli spazi equivalenti, 20 metri quadri concessi a ciascun espositore, presso l’Ex Borsa Valori aperta al pubblico dal 3 al 5 maggio con la nuova fiera che promette di affermarsi come appuntamento autorevole e prestigioso nel calendario artistico.
Il bilancio, a qualche settimana dalla chiusura, fa credere che la promessa sia ben fondata.
Perché, secondo lei, si sente l’esigenza di una fiera dedicata al mezzo specifico della fotografia e non, ad esempio, alla pittura, alla scultura o addirittura al video?
Parlare di esigenza di una fiera è relativo. Pensiamo, piuttosto, che la specializzazione sia un fenomeno in linea con quanto è avvenuto nel mondo fieristico in generale. Mio padre era un importante industriale genovese. Girava molto per il mondo. Periodicamente, sentiva il bisogno di portarci in vacanza come tutte le comuni famiglie, facendo qualche volta tappa nelle fiere campionarie, dove si poteva trovare di tutto, dall’ago all’animale esotico. Questo formato è oggi caduto, sono nate le macchine da guerra delle fiere di settore, sempre più specializzate, dalla fiera dei cavalli a quella dei vini e dell’automobile. Nel caso delle fiere d’arte, la pluralità delle tecniche espressive sta portando verso un ulteriore raffinamento della divisione settoriale. Siamo partiti dalla fotografia, anche se non abbiamo voluto restringere il campo agli artisti che la utilizzano in modo esclusivo, come sarebbe il caso di un Mapplethorpe, ad esempio. Artiaco ha portato opere fotografiche di Anri Sala, che non è un artista fotografo.
Nel frattempo, stiamo pensando anche a qualcosa che riguardi la grafica, un’arte considerata minore, o che è addirittura negletta nel nostro Paese, ma che fuori dai patri confini viene apprezzata come primaria.
Il processo di messa a fuoco è iniziato con The Others, non credendo alle fiere generaliste, a parte, forse, Art Basel. A The Others hanno trovato spazio delle realtà che sarebbero state escluse dalle classiche fiere, perché prive del requisito fondamentale di essere gallerie. The Others apre all’associazionismo e si distingue e specifica proprio in virtù di quest’apertura. The Phair precisa ulteriormente il campo sulla base del medium proposto, perché riteniamo che la specializzazione sia il futuro.
Nella prima edizione c’è stata una presenza molto significativa di Gallerie torinesi e un’attenzione esclusiva al nostro Paese. Si è trattato di una scelta determinata dalla volontà di dare il giusto rilievo al contesto italiano e in particolare a quello cittadino della fiera? Siete riusciti ad attrarre comunque l’interesse del collezionismo internazionale? Sarà la linea seguita anche nel futuro?
Ne stiamo discutendo. Il supplemento di gallerie straniere presuppone l’abbandono della sede attuale, troppo piccola per consentire un aumento del numero di espositori. Aggiungerne significherebbe cambiare spazio.
D’altra parte, una fiera di modeste dimensioni non basta ad attrarre il pubblico internazionale. Per la prossima edizione stiamo valutando se mantenere invariata la formula ristretta alle gallerie italiane, ma l’obiettivo futuro è certamente quello di aprire agli espositori internazionali. Rispetto a questa edizione, realizzata in tempi record, avremo più tempo per lavorare alla successiva e, progressivamente, all’internazionalizzazione della fiera.
La realizzazione di una fiera comporta diverse difficoltà. Non si tratta solo di avere nuove Gallerie. Il problema reale è costruire le condizioni di mercato perché le Gallerie siano soddisfatte. Serve molto tempo per far sedimentare l’idea che si tratti di una tappa fondamentale per i collezionisti. Tutto il sistema deve equilibrarsi. Oggi le Gallerie fanno difficoltà a stare al passo con il circuito fieristico mondiale, e sono diventate quindi molto attente alle scelte. Bisogna attrarle creando le condizioni di mercato perché ci sia un contraltare di domanda interessante. Considerata l’attuale congiuntura economica, nel quadro della quale il nostro mercato è ulteriormente penalizzato da una tassazione IVA sproporzionata, gestire una fiera con 200 gallerie in Italia è una follia.
Sappiamo che bisogna partecipare ad Artissima come trampolino, ma sappiamo anche che Artissima non è efficiente dal punto di vista delle vendite. Le scelte fatte quest’anno per The Phair sono state calibrate sulla stima del pubblico potenziale. Volendo far funzionare la fiera come sistema efficiente di rapporto tra offerta e domanda, abbiamo dimensionato la prima proporzionalmente al pubblico che eravamo in grado di prevedere grazie alla nostra esperienza.
I dati delle vendite sono molto positivi. L’attenzione del collezionismo internazionale è stata tuttavia pregiudicata dal fatto che tempo e risorse sono stati rivolti al solo mercato interno per ottenere il massimo risultato. Servirà un altro anno per costruire all’estero, ma siamo orgogliosi di sapere che a Photo London si sia già parlato di noi con molto interesse.
Alcune iniziative, come la web tv e il contest in collaborazione con Nital S.p.A., legato ad Instagram, oggi il più popolare social per la condivisione di immagini, sono state il modo per rispecchiarne le pratiche di produzione e fruizione più aderenti all’attualità. Come hanno funzionato? L’abitudine ormai immanente alla nostra cultura con l’uso di questi media ha garantito ascolti e partecipazione consistenti? Quali sono, secondo lei, gli aspetti positivi di questi nuovi modi di relazionarsi alla fotografia?
Hanno funzionato benissimo. La web tv ha messo addirittura un po’ in crisi l’organizzazione, che ha dovuto adattarsi in corso d’opera a un successo andato oltre le attese. Si è trattato di una soluzione geniale di Luca Panaro per risolvere un problema pratico. Non sapevamo dove collocare fisicamente il nostro programma di talk e incontri perché tutto lo spazio era occupato dagli stand. Panaro ha pensato di abbandonare l’idea delle tavole rotonde allargate trasformandole in una serie di conversazioni tra due o tre interlocutori trasmesse via web. Il successo è stato grandissimo, anche perché l’aggiornamento dei mezzi tecnologici fa percepire l’attenzione dell’organizzazione rispetto alle nuove tecnologie. La formula dei colloqui di 10/15 minuti ha alleggerito il consumo, rendendo tutto meno noioso e più intenso. Non è più pensabile di somministrare agli spettatori dosi massicce ed estenuanti di talk che, nella maggior parte dei casi, avvengono in sale semivuote. I nostri incontri, ancora disponibili sul web, si sono rivelati ricchi, veloci e brillanti. Perfezionando la formula, verrà trasferita anche a The Others, dove crediamo che avrà ancora più successo.
Il contest con Nital è riuscito, invece, a coinvolgere maggiormente il pubblico su un’idea di fotografia intesa come strumento artistico. C’è stata una grande disponibilità da parte di Nikon, e anche la risposta del pubblico è stata entusiasta, con più di 300 immagini da selezionare. In questo caso, abbiamo riscontrato una maggiore partecipazione tra i più giovani.
Qualche dato importante tra i risultati ottenuti da The Phair nel suo esordio?
Il primo dato importante per noi è l’aver portato 35 tra le migliori gallerie italiane che trattano fotografia. I visitatori sono stati circa 8000, un numero abbastanza consistente per un progetto simile, ma contiamo di riuscire ad incrementarlo di un 20% nella prossima edizione. Vorremmo che The Phair diventasse un momento centrale del maggio dedicato alla fotografia. L’offerta novembrina è ormai satura, perfino dal punto di vista sistemico della città, che non ha strutture alberghiere e infrastrutture di trasporti adeguate per gestire gli esuberati flussi di quella settimana. La crescita di un momento alternativo rispetto a novembre potrebbe incentivare nuove iniziative. Questa dovrebbe essere, secondo noi, la sfida da raccogliere da FO.TO. Una sfida che riteniamo si possa affrontare puntando su una selezione oculata di eventi di alto profilo.
Ci sono state delle idee che, per qualche circostanza, non hanno potuto realizzarsi nell’edizione appena conclusa? Intendete insistere su qualcuna per riuscire ad integrarla nel progetto in futuro?
In effetti, sì, ma non vogliamo ancora svelarle.
Pensa che ci sarà un qualche tipo di continuità tra The Phair e la prossima edizione di The Others? Ci può dare qualche anticipazione sulle novità di quest’anno?
Pur avendo una matrice comune, i due progetti sono ben distinti. L’unico anello di congiunzione è Lorenzo Bruni, che fa parte del Comitato di Consulenza di The Phair ed è, nel contempo, direttore artistico di The Others. A parte questo elemento di raccordo, non si avrà la stessa modularità, sarà diversa la composizione del comitato e non ricercheremo una particolare continuità. Il motivo è che non ci saranno né gli stessi pubblici, né gli stessi espositori e visitatori. L’unico elemento che verrà mutuato da una fiera all’altra sarà la web tv.
Per The Others non possiamo annunciare nessuna grande novità, fatta eccezione per una accentuata internazionalizzazione e un incremento molto forte di collaborazioni con scuole e istituti d’arte. L’Università della Sorbona verrà a Torino con un progetto specifico.
The Phair
Ex Borsa Valori
Via San Francesco da Paola 28, Torino
3 – 5 maggio 2019
Orari di apertura 12.00 – 21.00
Info: www.thephair.com
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