9/8/2017

FILIPPO DI SAMBUY. SVASTI: SEGNO E PURIFICAZIONE

Piazza del Duomo di Cortona | 16 luglio 2017

L’assonanza tra luogo, immagine e distensione sacra dell’opera di Filippo di Sambuy nel sagrato del Duomo di Cortona, sede di un Museo Diocesano esaltato da opere quali il Compianto sul Cristo morto di Luca Signorelli, un Cristo in croce del senese Lorenzetti, dalla magnificenza mistica dell’Annunciazione del Beato Angelico, è l’occasione per ripensare il rapporto tra le pratiche dell’Arte Contemporanea e la domanda spirituale sull’uomo, vivificando a nuova luce il raccoglimento intimo che ha per cornice la specificità della storia in atto mentre volge l’ascolto al cuore segreto della nostra presenza nel tempo.

Gli avvenimenti del secolo scorso hanno fatto in modo che un simbolo arcaico come quello della svastica diventasse universalmente noto per la sua associazione al male nazista. Talmente grave ne è stato l’abuso propagandistico da parte del nazionalsocialismo, e ridondante la retorica della memoria affinché nella coscienza collettiva il divieto del ripetersi della tragedia diventasse un imperativo categorico della storia umana, che solo una più imponente catastrofe potrebbe far dimenticare il simbolo, liberarlo dall’automatismo semantico che lo lega all’imperialismo disumano di quella particolare vicenda storica per nasconderlo sotto nuove macerie e restituirlo, così, alla sua autentica fecondità spirituale. Tuttavia, per sciogliere il perverso intreccio tra svastica e regime nazista, sarà efficace solo un altro dolore più acuto, che nella distruzione trascini anche la memoria del significato recente? Perché il segno della croce uncinata è antico, sacro per la spiritualità indù, nell’ordine della quale il termine svastika dava il senso propiziatorio di benessere e prosperità. L’emblema appartiene alla matrice simbolica prossima alla genesi stessa della conoscenza umana, quando il fiorire della coscienza del mondo e dell’invocazione alle sue potenze creava contemporaneamente i nomi primordiali delle cose e le primitive rappresentazioni del mistero cosmico.

Filippo di Sambuy, che dell’attenzione all’antico e a una scienza recondita e senza tempo ha fatto una poetica dialetticamente confinante con la prassi dell’Arte Contemporanea, le cui strategie sono per lo più riconducibili al campo semiotico e mediatico, medita la traccia di una comprensione non distratta dell’antico simbolo, rammemorandone l’originaria formazione con l’opera site specific Svasti. La svastica è certamente segno di qualche cosa, ma non con la funzione di significante per indicare una realtà storica, tanto meno la bandiera del Terzo Reich. Essa, pur attestata nella cultura di varie civiltà antiche e moderne, non è suscettibile di una traduzione linguistica, poiché la sua geometria rientra tra le figure mitologiche che cercano di esprimere, piuttosto, un’idea come causa formale del cosmo. Ed è in questo senso che l’Oriente le ha attribuito il valore simbolico del disco solare, occhio dell’Universo a cui restituire lo sguardo per elevarsi al di là della manifestazione terrena dei fenomeni, e da cui sorge, secondo il pensiero premoderno, la danza della realtà, il moto di tutto quanto avanza nell’apparente esistenza. Intorno al proprio centro, Filippo di Sambuy fa roteare il simbolo della svastica ri-muovendolo metaforicamente e letteralmente dal significato linguistico recente per deporlo presso l’insorgenza del sentimento sacro, in un luogo appartato e separato dallo svolgersi quotidiano del tempo. Per questo lo ricostruisce direttamente a terra, adagiato, quindi, immediatamente a fiore del piano dell’esistenza, sulle fondamenta comuni a tutte le religioni e modellato nella durata effimera tipica di ogni mandala, che non fissa alcun significato, ma riprende l’infinita variazione dell’ordine cosmico.

Il lavoro di Filippo di Sambuy ricorda costantemente che la funzione primaria dell’immagine non è quella di apparire il tempo sufficiente al suo consumo, come pure avviene nella contrita spettacolarizzazione della seconda guerra mondiale. Il simbolo della svastica inabissa la propria origine in un tempo e in una causa mitica che restano ignoti. Ed è precisamente a partire da questo senso impenetrabile dell’essere che l’Autore riallinea il moto vorticoso del simbolo sull’asse cosmico che unisce l’uomo al sole. Sambuy conferma, dunque, un modo d’uso del segno-immagine che si porta indietro rispetto alla sua circolazione globalizzata, preso in profondità nel divenire piuttosto che nell’opaca natura falsificabile del traffico delle informazioni.

Filippo di Sambuy. Svasti
a cura di Liletta Fornasari
voluta dal Comune di Cortona e realizzata grazie al sostegno di Paola Butali, ideatrice di Arte Cerreta

Dal 16 luglio 2017

Piazza del Duomo di Cortona (installazione pavimentale)
Museo Diocesano – sala Luca Signorelli (progetto preparatorio dell’opera)


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